lunedì 9 gennaio 2012

Monte Pellegrino fra fauna flora e rari animali

Il Monte Pellegrino è un promontorio in forma di vera e propria montagna calcarea, alta 609 metri s.l.m., che chiude a Nord il Golfo di Palermo e a Sud il Golfo di Mondello. ha i ripidi fianchi segnati da grotte e fratture millenarie. I viaggiatori del passato, primo fra tutti Goethe, lo definirono “il promontorio più bello del mondo”, anche perché vi riscontrarono quei magici contrasti, maestosità e dolcezza, che erano tanto amati nel Settecento e nell'età del Romanticismo.

Il Monte Pellegrino non è un semplice promontorio come potrebbe pensare chi lo osserva da Palermo, ma un vero e proprio massiccio montuoso, caratterizzato da fianchi ripidi ricchi di grotte, e da una orografia estremamente movimentata, ricca di pianori praticabili, caratterizzati da fenomeni di Carsismo per cui le acque non scorrono in superficie ma filtrano in numerosissimi anfratti per poi riapparire come sorgenti. Il massiccio montuoso visto dall'alto presenta forma allungata, i due lati maggiori guardano l'uno il mare, l'altro la piana verso l'interno. Il lato corto che guarda ad est è quello, celeberrimo, verso Palermo. 
La Riserva naturale orientata Monte Pellegrino è una riserva naturale regionale della Sicilia istituita nel 1996, situata nel territorio del comune di Palermo. La prima misura di tutela risale alla fine del XVIII secolo, per iniziativa di Ferdinando di Borbone il quale, con un editto reale, espropriò una area di circa 400 ettari, per dedicarla ad attività di sperimentazione agricola e ad una riserva di caccia. La Riserva, estesa 1.050 ha, comprende l'intero massiccio del Monte Pellegrino e la Real Tenuta della Favorita. Il Monte Pellegrino è un massiccio montuoso di rocce carbonatiche con prevalenza di calcari, alto 606 metri s.l.m, caratterizzato da una orografia estremamente movimentata, ricca di pianori praticabili, e con fianchi ripidi ricchi di fenomeni di carsismo, con ben 134 grotte di origine marina e/o carsica. L'area è inserita nel sito di interesse comunitario.
I costoni scoscesi del promontorio ospitano specie botaniche tipiche delle rupi costiere ('alloro, orniello, il sommacco, l'olivastro, l'alaterno ecc). Il sottobosco ospita splendide orchidee, quali per esempio l'endemica Ophrys lunulata, specie prioritaria secondo la direttiva Habitat della Unione Europea (codice 1905). Parte dell'area della Real Tenuta della Favorita è infine occupata da zone coltivate (agrumeti, orti, frutteti, campi agricoli sperimentali) e da zone rimboschite a conifere.
Tra i mammiferi presenti nel parco ci sono la volpe, la donnola, l'arvicola del Savi e il coniglio selvatico. Nelle grotte segnalatala presenza del pipistrello Rhinolophus ferrumequinum.
La Riserva ospita oltre 40 specie di uccelli. Tra i rapaci, oltre al falco pellegrino, a cui il monte deve la sua denominazione, il gheppio, il barbagianni, l'assiolo e la civetta; l'area è inoltre sulla rotta migratoria del falco pecchiaiolo. Altri uccelli osservabili sono il passero solitario ed il crociere.
Tra gli anfibi merita di essere menzionata la presenza di due endemismi: il discoglosso dipinto e il rospo smeraldino siciliano, di cui esiste una numerosa colonia che si riproduce nei pressi del Gorgo di Santa Rosalia, una pozza naturale che sorge non distante dall'omonimo Santuario.
Interessanti endemismi si annoverano anche nella malacofauna quali gli endemici Cornu mazzullii e Marmorana platychela.
La riserva è attraversata da una strada carrozzabile asfaltata cui si può accedere da Mondello Valdesi e da piazza Generale Cascino e inoltre esistono poi numerosi accessi pedonali tra cui: Scala vecchia, Sentiero della Valle del Porco, Sentiero della Rufuliata, Sentiero per la Grotta Niscemi e per la Roccia dello Schiavo, Scaletta della Perciata.
Altri punti di interesse sono:il Santuario di Santa Rosalia, il Gorgo di Santa Rosalia, Casina di Caccia,Fontana monumentale dedicata a Ercole, le Scuderie Reali, Le torri borboniche,  Il Vivaio Comunale,  le Grotte dell'Addaura e Niscemi,Valle del Porco e Bosco di Niscemi e S. Pantaleo. 
 

domenica 8 gennaio 2012

Palermo alla riscoperta dell'Orto Botanico


L'Orto botanico di Palermo è una istituzione museale e didattico-scientifica del Dipartimento di Scienze Botaniche dell'Università di Palermo, che vi ha sede. Adiacente a Villa Giulia, vi si accede da via Lincoln, 2 al confine del quartiere Kalsa di Palermo.
Il Giardino accoglie oltre 12.000 specie differenti di piante.
La sua origine risale al 1779, anno in cui l'Accademia dei Regi Studi, istituendo la cattedra di Botanica e Materia medica, le assegnò un modesto appezzamento di terreno per insediarvi un piccolo Orto botanico da adibire alla coltivazione delle piante medicinali utili alla didattica e alla salute pubblica.
Questo primo Orto ben presto si rivelò insufficiente alle necessità e nel 1786 si decise di trasferirlo in quella che è la sede attuale, presso il Piano di Sant'Erasmo, all'epoca tristemente famoso in quanto sede dei roghi della Santa Inquisizione.
Nel 1789 fu iniziata la costruzione del corpo principale degli edifici dell'Orto, costituiti da un edificio centrale, il Gymnasium, e da due corpi laterali, il Tepidarium e il Calidarium, progettati in stile neoclassico dall'architetto francese Léon Dufourny.
Vicino al Gymnasium si trova la porzione più antica dell'Orto, detta Sistema linneo, anch'essa progettata dall'architetto Léon Dufourny con uno schema rettangolare suddiviso in quattro parallelogrammi. Su indicazione del padre francescano Bernardino da Ucria, insigne botanico, in questa porzione del giardino le specie furono disposte secondo la tassonomia linneana, sistema di classificazione sviluppato da Carl von Linné ed esposto negli aspetti riguardanti la botanica nel 1753 in Species Plantarum.
Il nuovo Orto fu inaugurato nel 1795 e nel 1798 si arricchì dell'Acquarium, una grande vasca in cui prosperano numerose specie di piante acquatiche.
Nel 1823 fu completata la Serra Maria Carolina. Il grande Ficus magnolioide, che costituisce il simbolo del moderno Orto, fu importato nel 1845 dalle Isole Norfolk (Australia).
In seguito a successivi ampliamenti, nel 1892 fu raggiunta l'attuale estensione di 10 ettari circa.
Nel 1913 gli fu affiancato un Giardino coloniale poi soppresso. Dal 1985 l'Orto è in affidamento al Dipartimento di Scienze Botaniche dell'Università di Palermo.
Nel 1993, nel contesto di un progetto per la salvaguardia del patrimonio genetico della flora dell'area mediterranea è stata istituita la banca del germoplasma.




Gastronomia Palermitana la muffoletta


La muffoletta a Palermo, fin dai tempi antichi rappresenta l’insolita prima colazione del 2 Novembre: la “festa dei morti”. Questa pagnotta molto amata dai palermitani, in questo giorno viene preparata con un diametro più grande della pagnotta utilizzata solitamente  per il pane e panelle o con la milza.
Ancora calda, morbidissima e profumata, cosparsa di croccante sesamo e condita con olio extravergine d’oliva sarde salate, origano, caciocavallo e  pepe, è tutt’oggi una semplicissima prelibatezza che ricorda le antiche tradizioni della cucina siciliana. Nel vocabolario siciliano muffuletta o muffulettu  è un pane mollo e spugnoso e ciò fa pensare che l’etimologia potrebbe essere di origine francese (mou: molle). 
In origine si chiamava Muffulettu, e la sua storia è così antica che viene datata a prima del Romano Impero, quando i maestri del pane siciliani forgiavano i propri impasti mescolando le loro ricette a quelle di origine ellenica e mediorientale.
A Palermo invece era ed è ancora usanza farcirla con ricotta, acciughe e olio d’oliva nuovo e consumarla a colazione il mattino del 2 novembre, una volta trascorsa la notte di congiunzione tra i vivi e i morti.
Ingredienti per la muffoletta
500 grammi farina Manitoba; 500 grammi farina di grano duro (rimacinata); 20 grammi di lievito di birra; Un cucchiaio di miele; 10 grammi di malto per panificazione; 500 ml acqua; 1/2 bicchiere d’olio; 20 grammi di sale; Semi di sesamo q.b
Ingredienti per il condimento
Olio extravergine d’oliva; Sale e pepe q.b. origano; Caciocavallo semistagionato grattugiato a fili; Sarde salate (secondo i vostri gusti)
Procedimento
Per l’impasto sarebbe ideale l’utilizzo di una planetaria( impastatrice)
Mettere nella planetaria le farine setacciate e il malto, il lievito spezzettato e il miele e aggiungere tutta l’acqua. Far lavorare e,  appena l’impasto sarà incordato, aggiungere l’olio poco per volta fino a completo assorbimento, aggiungete il sale poco per volta, far lavorare per qualche minuto e togliere l’impasto dall’ impastatrice avendo cura di spolverarvi le mani e il piano di lavoro con un po’ di farina. Formare una pagnotta, praticare una taglio a croce sulla parte superiore  e mettere a lievitare per due ore in luogo tiepido ricoprendo con una pellicola da cucina.
Trascorso il tempo staccare pezzetti di pasta, arrotolarli con il palmo delle mani, sul piano di lavoro infarinato, in modo da formare dei panetti rotondi di circa 100 grammi.  Spennellarli con poca acqua e cospargete con i semi di sesamo, pressandoli leggermente sulle pagnottine, quindi depositarli su teglia foderata con carta da forno e rimettere a lievitare per una mezz’oretta in luogo tiepido, ricoprendo sempre con pellicola da cucina. A completamento della seconda lievitazione mettere in forno preriscaldato a 200° per 10/15 minuti e comunque fino a completa doratura della muffoletta. Togliere dal forno e prima di condirle aspettare che raggiungano la temperatura ambiente.


Il Cannolo tradizione siciliana


I  cannoli sono una delle specialità più conosciute della pasticceria siciliana.
In origine venivano preparati in occasione del carnevale; col passare del tempo la preparazione ha perso il suo carattere di occasionalità ed ha conosciuto una notevolissima diffusione sul territorio nazionale, divenendo in breve un rinomato esempio dell'arte pasticcera italiana nel mondo.
Si compone di una cialda di pasta fritta (detta scòrza e lunga da 15 a 20 cm con un diametro di 4-5 cm) ed un ripieno a base di ricotta di pecora. Per la scorza, si formano piccoli dischi di pasta (fatta di farina di grano tenero, vino, zucchero e strutto) che vengono arrotolati su piccoli tubi di metallo e poi fritti, tradizionalmente nello strutto, oggi anche in grassi meno costosi.
Prima delle moderne leggi in materia d'igiene, la pasta veniva arrotolata su piccoli cilindri ottenuti ritagliando normali canne di fiume, che diedero così il nome al dolce.
Il ripieno tradizionale consiste di ricotta di pecora setacciata e zuccherata, ma recentemente alcune pasticcerie hanno iniziato a sostituirla con ricotta di mucca, pur meno saporita di quella ovina, ma ritenuta da alcuni più delicata e digeribile. Si trovano anche altri ripieni, come la crema pasticcera o la crema di cioccolato. Ci sono poi differenze locali, che prevedono l'aggiunta di pezzi di cioccolato, di canditi, di granella di pistacchi o nocciole. Il cannolo farcito viene poi spolverato di zucchero a velo.
I cannoli vanno riempiti al momento di mangiarli; questo perché, con il passar del tempo, l'umidità della ricotta viene assorbita dalla cialda facendole perdere la sua croccantezza. Per evitare questo inconveniente, alcuni pasticcieri rivestono la superficie interna del cannolo con cioccolato fuso: in questo modo, l'involucro non si impregna rimanendo croccante per più tempo. La nascita dei cannoli sarebbe avvenuta a Caltanissetta, antica "Kalt El Nissa" che in arabo significa "Castello delle donne", a quei tempi sede di numerosi harem di emiri saraceni. L'odierno cannolo siciliano sarebbe nato da allusioni sessuali: il suo antenato potrebbe essere un dolce a forma di banana, ripieno di ricotta, mandorle e miele.
Le favorite dell'emiro, mentre erano rinchiuse nel castello di Caltanissetta, si dedicavano anche alla preparazione di dolci, e avrebbero "inventato" il cannolo, allusione evidente alle "doti" amatorie del sultano. Un'altra fonte, invece, tramanda che i cannoli siano stati preparati per la prima volta in un convento sempre nei pressi di Caltanissetta, dove delle suore rispettose del voto di castità, non lo erano così tanto di fronte al piacere voluttuoso offerto dal magnifico dolce. Altra ipotesi consegna la nascita dei cannoli all'antica città di Terranova, ora Gela, dove la pregiatezza della ricotta si unì a uno dei migliori pani in Italia.
Come preparare  in modo rapido e semplice i cannoli siciliani.
150 g di farina "00"; 500 g di ricotta di pecora fresca; 15 g di cacao in polvere; 1 cucchiaio di Marsala; gocce di cioccolato; 270 g di zucchero; 20 g di burro; mezzo litro di olio di semi; zucchero a velo; 1 uovo
Per l'impasto delle "scorce"
Mettere la farina in un ampio recipiente. Ricavare, con le dita, un buco centrale e collocarvi il burro. Aggiungere l'uovo, il cacao e il Marsala. Impastare con le mani fino a ottenere una pasta elastica, lavorabile, ma non troppo morbida. Lasciare riposare in frigorifero per 2 ore.
 Per la farcitura... Raffinare la ricotta passandola in un setaccio per rendenderla più cremosa. Aggiungere lo zucchero e mescolare per amalgamare il composto. Aggiungere le gocce di cioccolato. Per chi li ama, si possono aggiungere anche dei canditi.
Per i cannoli...Estrarre la pasta dal frigo dopo 2 ore. Stendere la pasta con un mattarello fino a raggiungere una sfoglia sottile. Aiutarsi con la farina per evitare che l'impasto si attacchi al mattarello. Ritagliare dei quadraticon un coltello. Avvolgere i quadrati sulle forme per cannolo, pressando bene i punti di giuntura.
Procedimento...Mettere a scaldare l'olio di semi in un'ampia padella. Friggere le scorce con la forma inserita, girando di quando in quando finché la cottura non è ultimata. Una volta dorate, estrarle dall'olio e deporle su carta assorbente affinché rilascino l'olio in eccesso. Estrarre le formine dalle scorce e riempirle con la crema di ricotta preparata in precedenza. Spolverare con zucchero a velo.




sabato 7 gennaio 2012

Palermo e la sua patrona Santa Rosalia (u fistinu)


Santa Rosalia, patrona di Palermo.
La Festa di Santa Rosalia (u fistinu in siciliano)
Secondo alcuni studi di agiografi locali, Rosalia, figlia del duca Sinibaldo di Quisquina delle Rose, nipote per parte di madre di re Ruggero d’Altavilla, crebbe nel XII secolo alla corte dello zio, a Palermo. Era molto bella e suscitava interessi terreni, fra i tanti quello del principe Baldovino, all’epoca ospite di riguardo alla corte di Ruggero. La leggenda narra che, durante una battuta di caccia grossa, sul monte Pellegrino, la montagna sopra Palermo, un leone stava per uccidere re Ruggero; Baldovino, coraggiosamente, lo salvò uccidendo il leone. Re Ruggero chiese a Baldovino di indicare egli stesso un premio per la sua eroica azione, e quest’ultimo chiese la mano di Rosalia, che, in seguito alla proposta di matrimonio, fuggirà gettando nello sconforto la madre, lo zio e l’intera guarnigione di stanza a Palazzo Reale (o dei Normanni). 
Vissuta per poco tempo alla corte di Ruggero II, in seguito alla morte del re, chiese ed ottenne il permesso di vivere da eremita in una grotta sul monte Quisquina, dove trascorse dodici anni della sua vita. Successivamente, si trasferì in una grotta sul monte Pellegrino, dove visse “a vita di contemplazione” fino alla morte. Il suo culto si collega ad un evento particolare accaduto a Palermo in occasione di un’epidemia di peste. Il 7 maggio del 1624, infatti, attraccò nel porto della città un vascello proveniente da Tunisi, che in precedenza era approdato a Trapani e lì era stato sequestrato perché l’equipaggio era stato sospettato di essere stato contagiato dal morbo. Ben presto era stato dato l’allarme ma il viceré, mal consigliato, si lasciò convincere e fece scaricare dal vascello il carico, mentre il comandante, Maometto Cavalà, insieme con il guardiano del porto, si recò a Palazzo Reale per portare i doni a Sua Altezza Serenissima: cammelli, leoni, gioielli e pelli conciate, inviate dal re di Tunisi. “E si vedeva per tutta la città per tutto il mese di maggio e quasi il 15 giugno morire un gran numero di persone”. 
Palermo si trasformò in un lazzaretto sotto il cielo. Il resto è leggenda, mito e prodigio. Nonostante le infinite preghiere della cittadinanza e le processioni, le quattro co-patrone della città - Santa Cristina, Santa Ninfa, Sant’Oliva e Sant’Agata - non erano riuscite a fermare la peste. Il miracolo, invece, fu attribuito alle reliquie di Santa Rosalia, le quali, portate in processione, impedirono l’ulteriore diffondersi dell’epidemia. Secondo le testimonianze storiche, infatti, Vincenzo Bonelli, un saponaio di via dei Pannieri, che aveva perduto per la pestilenza la moglie, salì sul monte Pellegrino per una passeggiata; smarritosi in seguito a un temporale, gli apparve la visione di Rosalia che, in dialetto palermitano, gli chiese di avvertire il vescovo, cardinale Giannettino Doria, che le ossa ritrovate poco tempo prima nella caverna dove ella era vissuta da eremita, erano le sue: se fossero state portate in solenne processione lungo le strade della città, la peste sarebbe scomparsa. 
Poste in un sacco, tra fiori, candele accese e canti, i resti mortali di Santa Rosalia, trasportati per le vie della città, fecero il miracolo. L’etnologo dell’800 Giuseppe Pitrè così descrive la processione delle reliquie della santa, ritrovate il 15 luglio 1624: “Al loro passaggio il male si alleggeriva, diventava meno intenso, perdeva la sua gravità. Palermo, in breve, fu libera, e, in attestato di riconoscenza a tanto beneficio, si votò a lei, celebrando in suo onore feste annuali che ricordassero i giorni della liberazione. La grotta del Pellegrino divenne Santuario, ove la pietà d’ogni buon devoto si ridusse a venerare l’immagine della Patrona”. I tributi festivi votati al culto di Santa Rosalia, patrona di Palermo, ebbero inizio dopo il ritrovamento delle ossa, avvenuto il 15 luglio del 1624. Dal 1624, ogni anno dal 9 al 15 luglio, Palermo festeggia la patrona, la Santuzza, con un “festino” della durata di sette giorni; mentre il 4 settembre, dies natali della santa, ha luogo il pellegrinaggio alla grotta del monte Pellegrino dove ella visse a vita di contemplazione, e dove è stato edificato in suo onore un santuario; 
nello stesso giorno si visita la cappella della Cattedrale di Palermo, in cui è custodita la statua della santa che, secondo l’iconografia popolare, è rappresentata giovanissima, con una corona di rose bianche sul capo, in contemplazione davanti al Crocifisso che sarebbe lo specchio nel quale la santa vide riflessa l’immagine di Cristo. Il Festino rappresenta un momento storico per la città, e all’origine comprendeva tante manifestazioni che, tra sacro e profano, tra mito e leggenda, coinvolgevano tutti gli strati sociali, in una devota esaltazione della santa patrona di Palermo. 
Il Festino comprendeva, oltre alla sfilata del Carro, i fuochi pirotecnici che si tenevano alla Marina e la processione dell’urna con le reliquie della santa (momenti che si svolgono ancor oggi).
Inoltre, si svolgevano una lotteria chiamata Beneficiata, la corsa dei cavalli berberi per le vie della città e la tradizionale novena cantata dai cantastorie, gli Orbi, che, accompagnati dal violino, cantavano in versi siciliani la storia della Santuzza
 Attualmente, il Carro è lungo circa 9 metri e largo 6 con un’ altezza di circa 10 metri. Esso può ospitare quaranta persone, costituite dagli orchestranti e dal coro, e in cima trova posto la statua della Santuzza circondata da nuvole, angeli e putti. Spesso, nelle processioni, il Carro viene preceduto da carri minori, detti “macchinette”, che rappresentano scene della vita della Santa.



 

mercoledì 4 gennaio 2012

Isola delle Femmine fra fascino e sirene


Isola delle Femmine (Isula in siciliano) è un comune italiano di 7.296 abitanti della provincia di Palermo in Sicilia
Il comune deve il nome all'isolotto che gli sta di fronte chiamato appunto Isola delle femmine. Diverse leggende hanno subito il fascino esercitato dalla torre ormai in gran parte diroccata che sovrasta l'isolotto. Quella più conosciuta considera erroneamente la torre come prigione per sole donne. In realtà il nome "isola delle femmine" è frutto di un lungo processo di italianizzazione, infatti l'antico nome dell'isolotto, secondo la tradizione popolare, era "insula fimi", anch'esso frutto di un processo di omologazione e derivato da "isola di Eufemio", dal nome del generale Eufemio di Messina.
Sia la torre sulla terraferma, detta Torre di "dentro", sia quella sull'isolotto, detta Torre di "fuori", facevano parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia. Quella sulla terraferma è sicuramente la più antica, di forma circolare; la tipologia del manufatto la fa risalire a quelle coeve di Capo Mongerbino e di Capo Rama, probabilmente costruite nel '400 al tempo del re Aragonese Martino il giovane. Quella sull'isolotto è invece di tipologia riconducibile all'architetto fiorentino Camillo Camilliani, molto più noto per essere stato l'artefice della Fontana Pretoria a Palermo.
Attualmente l'isola è una riserva naturale orientata gestita dalla LIPU.
Diverse sono le versioni cui le tradizioni popolari attribuiscono il nome dell'isola. Si narra che il bellissimo isolotto denominato "Isola delle Femmine" fosse stato un tempo una prigione occupata solo ed esclusivamente da donne. Tredici fanciulle turche, essendosi macchiate di gravi colpe, furono dai loro congiunti imbarcate su una nave priva di nocchiero e lasciate alla deriva. Vagarono per giorni e giorni in balìa dei venti e delle onde finché una tempesta scaraventò l'imbarcazione su un isolotto nella baia di Carini. Qui vissero sole per sette lunghi anni fin quando i parenti, pentitisi della loro azione, le ritrovarono dopo molte ricerche. Le famiglie così riunite decisero di non fare più ritorno in patria e di stabilirsi sulla terraferma. Fondarono quindi una cittadina che in ricordo della pace fatta, chiamarono Capaci (da "CCa-paci" ovvero: qui la pace) e battezzarono l' isolotto sul quale avevano dimorato le donne "Isola delle Femmine". 

Una testimonianza di Plinio il Giovane in una lettera indirizzata a Traiano, considera l'isola residenza di fanciulle bellissime che si offrivano in premio al vincitore della battaglia. Altra presunta origine trova nel nome latino "Fimis" la traduzione dell'arabo "fim" che indicherebbe la bocca, il canale che separa l'isola dalla costa. Secondo altri autori il nome dell'isola deriverebbe da "Insula Fimi" in riferimento ad Eufemio di Messina, governatore bizantino della Sicilia.
L'isolotto di Isola delle Femmine è stato considerato sin dall'antichità e per tradizione un luogo da impiegare a scopo economico e difensivo grazie alla sua posizione e conformazione, che lo rende un sicuro riparo contro i venti di levante per le piccole imbarcazioni. L'isolotto si trova, infatti, a 300 metri dalla costa ed ha una conformazione ovale dovuta all'erosione dei forti venti che spirano nella zona. Dal promontorio dell'isola si possono vedere il monte Pellegrino, il promontorio di Capo Gallo, l'isola diUstica e i comuni di Carini, Isola delle femmine e Capaci. Dato che il terreno, per la particolare configurazione del suolo, non era adatto alla coltivazione, l'unico mezzo di sostentamento per gli abitanti della zona era la pesca. Non distante infatti in quelle acque vi era stagionalmente il passaggio dei tonni e ben presto i pescatori della vicina Capaci si organizzarono per la pesca del tonno. Risalgono al periodo ellenistico i resti di sette vasche in cocciopesto per la preparazione del garum, una ricercata salsa di pesce, commerciata nel Mediterraneo: la traccia di uno stabilimento per la lavorazione del pesce rende il luogo importante dal punto di vista archeologico.
Il ritrovamento nel mare antistante di ceppi di ancore in piombo e resti di anfore puniche e romane accresce il valore del sito. La torre di Fuori, costruita in prossimità del punto più alto dell'isola (35 m sul livello del mare), risale al XVI secolo. Ha pianta quadrata, con spessori murari di oltre due metri che la rendevano una fortezza inserita nel sistema difensivo delle torri costiere contro gli attacchi dei pirati alla terraferma. Sfortunatamente, gli eventi che hanno caratterizzato lo sbarco degli Alleati durante la Seconda guerra mondiale, l'incuria del tempo ed il disinteresse hanno trasformato la torre in un rudere, il cui muro, quasi intatto, al di sopra della ripida scogliera del versante nord è ancora il volto che l'isola offre al mare.
La riserva, istituita nel 1997 dalla Regione Siciliana e affidata alla LIPU dal 1998, è nata per tutelare il patrimonio floristico locale e favorire la sosta delle specie migratorie.
La flora presente sull'isola è costituita da 144-145 specie diverse alcune delle quali specifiche del luogo. Fra esse si possono ricordare l'asfodelo, l'iris, la salicornia, la speronella, la romulea, il ginestrino delle scogliere e molti altri. La superficie dell'isola presenta piccoli prati, cespugli di macchia mediterranea e prateria steppica nella parte più elevata. 
La fauna è costituita da specie stanziali e molte specie di uccelli migratori presenti in diverse epoche dell'anno. Fra i più diffusi si possono ricordare fra i rapaci la poiana ed il falco pellegrino mentre fra i migratori occorre sottolineare la presenza del cormorano, della garzetta, dell'airone cenerino oltre al martin pescatore ed altre specie meno comuni. Il fatto che l'isola non sia abitata costituisce uno dei motivi per cui queste specie vi sostano lungo la loro migrazione fra l'Africa ed il nord Europa. Fra le specie terrestri è ancora presente il coniglio selvatico, una specie di lucertola e numerosi coleotteri.
Sul fondale marino esiste una vasta gamma di fauna favorita dalla purezza delle acque e dalla limpidezza del mare. Fra le specie faunistiche si annovera la murena, l'aragosta e la cernia oltre ad altre specie di pesci di scoglio, cavalluccio marino, la stella marina e varie tipologie di molluschi. Si trovano inoltre colonie di gorgonia rossa, corallo rosso ed attinia.
I fondali, con profondità diverse fra la zona dell'isola fronteggiante la terraferma e quella affacciata sul mare aperto, presentano diversi reperti archeologici di età romana e greca a quelli di periodi più recenti. La limpidezza delle acque consente una visione eccellente ai sub che si immergono per godere delle bellezze naturali dei fondali dell'isola.
Isola delle Femmine ha un clima prettamente mediterraneo, e quindi caldo e secco in estate e con precipitazioni concentrate soprattutto nel semestre invernale. Nei mesi più freddi non sono infrequenti i temporali e le tempeste di vento, ma le temperature non scendono mai sotto lo zero. Il valore più basso registrato dalla storica stazione meteo di Isola delle Femmine è stato di +1,4 °C durante l'ondata di freddo (che portò la neve fin sulle coste) del 31 gennaio 1962. Le stagioni estive, anche se calde, sono costantemente ventilate (grazie anche alle brezze che soffiano frequentemente lungo le coste siciliane) e generalmente non eccessivamente umide, fattori che contribuiscono a rendere piacevole il soggiorno ai numerosi turisti che arrivano in zona. La media termica annuale è di circa 20 °C, il mese più freddo è gennaio ma le medie delle minime non scendono sotto i 10 °C, mentre agosto è il mese più caldo con massime intorno ai 31 °C e minime che si aggirano sui 22 °C. Mediamente cadono circa 650mm; il mese più piovoso è dicembre, quello più asciutto luglio.

martedì 3 gennaio 2012

Le Catacombe di Palermo....orari di visita

Le Catacombe di Palermo

Si trovano in Via Pindemonte 

Orari di visita
tutti i giorni 9.00 - 12.00/15.00-17.30

Biglietto-offerta per i frati cappuccini 

lunedì 2 gennaio 2012

Palermo regina della Cassata Siciliana


La cassata siciliana (dall'arabo qas'at, "bacinella" o dal latino caseum, "formaggio") è una torta tradizionale siciliana a base di ricotta zuccherata (tradizionalmente di pecora), pan di Spagna, pasta reale, frutta candita e glassa di zucchero.
Nonostante l'apparente semplicità della ricetta, esistono innumerevoli varianti locali. Specialmente l'aspetto esteriore può variare da una scarna decorazione di glassa e un po' di scorza d'arancia candita fino a una opulenta costruzione baroccheggiante con perline colorate e una mezza dozzina di frutti canditi diversi.
Sempre secondo le varianti locali, ci possono essere ingredienti aggiuntivi, come pistacchio, pinoli, cioccolato, cannella, maraschino o acqua di zagara. Le radici della cassata risalgono alla dominazione araba in Sicilia (IX-XI secolo). Gli arabi avevano introdotto a Palermo la canna da zucchero, il limone, il cedro, l'arancia amara, il mandarino, la mandorla. Insieme alla ricotta, che si produceva in Sicilia da tempi preistorici, erano così riuniti tutti gli ingredienti base della cassata, che all'inizio non era che un involucro di pasta frolla farcito di ricotta zuccherata e poi infornato.
Nel periodo normanno, a Palermo presso il convento della Martorana, fu creata la pasta reale o Martorana, un impasto di farina di mandorle e zucchero, che, colorato di verde con estratti di erbe, sostituì la pasta frolla come involucro. Si passò così dalla cassata al forno a quella composta a freddo.
Gli spagnoli introdussero in Sicilia il cioccolato e il pan di Spagna. Durante il barocco si aggiungono infine i canditi.
Inizialmente la cassata era un prodotto della grande tradizione dolciaria delle monache siciliane ed era riservata al periodo pasquale. Un documento ufficiale[senza fonte del primo sinodo dei vescovi siciliani a Mazara del Vallo nel 1575 afferma che la cassata è "irrinunciabile durante le festività". Un proverbio siciliano recita "Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua" ("Meschino chi non mangia cassata la mattina di Pasqua"). La decorazione caratteristica della cassata siciliana con la zuccata fu introdotta nel 1873 (in occasione di una manifestazione che si tenne a Vienna) dal pasticcere palermitano cav. Salvatore Gulì, il quale aveva un laboratorio nel centralissimo corso Vittorio Emanuele a Palermo. 
Per preparare una buona cassata ecco cosa serve...ed ecco gli ingredienti...
Per il Pan di Spagna:
6 uova, gr 300 di farina per dolci, gr 250 di zucchero, una bustina e mezza di lievito per dolci, mezzo bicchiere di latte.
Per la Crema di Ricotta:
gr 500 di ricotta freschissima, 300 gr di zucchero, 100 gr di cioccolato fondente, 100 gr di frutta candita, mezza bustina di vaniglia.
Per la Pasta Reale:
gr 200 di farina di pistacchi ( altrimenti 200 gr di mandorle + colorante per dolci verde, la tradizione vuole che sia verde)
gr 200 di zucchero, dl 100 di acqua.
Frutta candita:
Scorze di agrumi (arance, cedri, limone); zucchero semolato.
Cominciamo le preparazioni partendo proprio dalla frutta candita.
Procedimento: Fate delle fettine lunghe di scorze e mettetele a cuocere in molta acqua bollente. Scolatele dopo 20 minuti, lavatele in acqua corrente e fatele cuocere nuovamente in acqua bollente.
Dal momento inizia nuovamente l'acqua a bollire, contate dieci minuti di cottura. Infine scolatele ed asciugatele con una tovaglia. Pesate lo stesso peso di zucchero semolato. Mettete mezzo bicchiere d'acqua e fate caramellare a fuoco lentissimo. Quando lo zucchero si colorisce aggiungete le scorzette, mescolatele col cucchiaio per ricoprirle bene di zucchero.
Ponete il tutto su di un piatto di buone dimensioni o un piano marmoreo così da far asciugare le scorze le une distaccata dalle altre. 
Per il Pan di Spagna frullate a neve le uova, incorporatevi lo zucchero, poi il lievito te il latte per ammorbidire il composto.
Versate in una teglia bene imburrata, al fondo della quale avrete messo un foglio di carta forno. infornate a forno caldissimo e appena vedrete montare, abbassate la fiamma e lasciate cuocere per 15 minute infine la farina. lavorate bene e aggiungei circa.
Per verificare la cottura all'interno inserite uno stecchino nel punto più alto, se esce asciutto è pronto il vostro Pan di Spagna.
La Pasta reale, nota in Sicilia, ci servirà da involucro per la nostra cassata. La sua preparazione (casalinga) è abbastanza semplice.
Mettete in un tegame l'acqua e lo zucchero, rimescolate e portate a ebollizione, togliendo mdal fuoco non appena lo zucchero fila. ve ne accorgerete prendendo il mestolo di legnocon cui avete rimescolato il composto e sollevandolo, per lasciare scolare qualche goccia di zucchero sciolto.
Se la goccia colando si allungherà a filo, e il momento di togliere il tegame dal fuoco e di incorporarvi la farina di mandorle e la vaniglia.
Rimescolate bene per fare amalgamare la farina allo zucchero, aggiungete qualche goccia di colorante verde per rispettare la tradizione, e versate la pasta su un piano di marmo,
opportunamente bagnato.
Appena sarà fredda, lavoratela a lungo finchè non diventi liscia e compatta. Spianate col matterello la pasta reale a foglie dello spessore di circa mezzo cm e tagliatele a rettangoli dell'altezza dello stampo che userete per la cassata, e larghi circa 4 cm La Crema di ricotta molto diffusa in Sicilia viene utilizzata non solo per la cassata, ma anche per cannoli, sfince, panserotti.
Lavorate bene con una forchetta, in una terrina, la ricotta, lo zucchero e la vaniglia, aggiungendo qualche sorso di latte se la ricotta è un pò asciutta. Quando il composto sarà omogeneo passate a setaccio, in modo che la crema risulti liscia e senza grumi.
Condite con le scagliette di cioccolato e le scorzette di frutta candita tagliate a pezzettini piccoli.
Glassa di zucchero a freddo
Ingredienti: gr. 200 zucchero a velo; 1 albume d’uovo; limone
Procedimento: montate a neve ferma l’albume aggiungete qualche goccia di limone ed incorporate lo zucchero spandendolo poco per volta e mescolando con delicatezza.
Lavorate il composto con il cucchiaio di legno e quando avrà una robustezza cremosa sarà pronta per ricoprire la cassata.
Bene direi che ora abbiamo tutti gli elementi per preparare la nostra cassata.
Prendiamo uno stampo di circa 28 cm di diametro e foderate i bordi interni, alternando i rettangoli di pasta reale con rettangoli di uguale misura di pan di Spagna.
Sul fondo dello stampo, sistemate parte del pan di Spagna tagliato a fette alte circa un dito e inumiditelo con uno sciroppo fatto di acqua zucchero e ruhm, o marsala se lo avete.
Versate nello stampo così foderato la Crema di ricotta, e coprite con altro pan di Spagna, inumidito pure questa volta di sciroppo.
Lasciate asciugare in frigorifero qualche ora, quindi voltate su un piatto di portata. Spalmate la glassa di zucchero con una spatolina per un effetto estetico migliore.
Guarnite quindi la vostra Cassata con la frutta candita usando tutta la vostra fantasia. 




Palermo Le Catacombe fra misteri e segreti


Il cimitero dei frati cappuccini di Palermo, erroneamente conosciuto come “le catacombe” conserva le spoglie mortali di frati, personaggi famosi e comuni. Il tasso di umidità delle Catacombe di Palermo, e la cura che i frati cappuccini avevano dei defunti, ha permesso che le mummie si conservassero pressoché intatte, e molto riconoscibili. Le Catacombe diPalermo, nonostante si trovino un po’ al di fuori del cuore della città, sono una delle mete turistiche più apprezzate dai visitatori del capoluogo siciliano. Il fascino del macabro, che si conserva spaventosamente intatto dal 1599, non passa mai di moda.
Il Convento dei Cappuccini a Palermo, nel quartiere Cuba, è annesso alla Chiesa di Santa Maria della Pace. Chiesa e convento risalgono al XVI secolo, benché edificati su strutture precedenti. Il Convento è conosciuto in tutto il mondo per la presenza nei suoi sotterranei di un vasto cimitero, che attira la curiosità di numerosi turisti, Le gallerie furono scavate alla fine del '500 e formano un ampio cimitero di forma rettangolare. Non sono mai state inventariate le salme ivi presenti, ma si è calcolato che debbono raggiungere la cifra di circa 8.000.
Le mummie, in piedi o coricate, vestite di tutto punto, sono divise per sesso e categoria sociale, anche se la maggior parte di esse appartengono ai ceti alti, poiché il processo di imbalsamazione era costoso. Nei vari settori si riconoscono: i prelati; commercianti e borghesi nei loro vestiti "della domenica"; ufficiali dell'esercito in uniforme di gala; giovani donne vergini, decedute prima di potersi maritare, vestite col loro abito da sposa; gruppi famigliari disposti in piedi su alte mensole, delimitate da sottili ringhiere simili a balconate; bambini; ecc.
Numerose salme appartengono comunque a frati dell'ordine dei Cappuccini stessi: il primo ad essere stato inumato all'interno delle catacombe fu infatti frate Silvestro da Gubbio il 16 ottobre del 1599. La sua salma è la prima sulla sinistra subito dopo l'ingresso.
Il metodo di imbalsamazione prevedeva prima di tutto di far "scolare" la salma per circa un anno, dopo averle tolti gli organi interni. Quindi il corpo, più o meno rinsecchito, veniva lavato con aceto, riempito di paglia, e rivestito con i suoi abiti. Altri metodi, utilizzati specialmente in periodi di epidemie, prevedevano un bagno di arsenico o di acqua di calce.
Mummia di Rosalia Lombardo
Tra le salme delle Catacombe dei Cappuccini è particolarmente nota quella di Rosalia Lombardo, visibile nella Cappella di Santa Rosalia in fondo al primo corridoio, sulla sinistra. Nata a Palermo nel 1918 e ivi morta il 6 dicembre 1920, presubilmente per un'infezione bronchiale, la bambina è stata una delle ultime persone ad essere ammesse alla sepoltura nella cripta. L'imbalsamazione fu curata dal professor Alfredo Salafia, lo stesso che imbalsamò Francesco Crispi. Come si è scoperto solo nel 2009, per l'operazione venne utilizzata una miscela di formalina, glicerina, sali di zinco, alcool e acido salicilico. La bambina appare intatta (seppur solo per il volto e non per il resto del corpo) destando l'impressione che stia dormendo, tanto da meritare il soprannome di “Bella addormentata". Nonostante il processo di mummificazione sia uno dei migliori, se non il migliore, il corpo presenta piccoli segni di decomposizione. È stato quindi necessario collocare la storica bara all'interno di una teca ermetica di acciaio e vetro, riempita di azoto.



sabato 31 dicembre 2011

Piazza Pretoria la Fontana delle Nudità


La Fontana Pretoria fu realizzata nel 1554 da Francesco Camilliani a Firenze, ma nel 1581 venne trasferita in Piazza Pretoria a Palermo.
Storia...
A Firenze la fontana fu collocata all'interno del giardino di Don Luigi di Toledo,posto sul sito dell'attuale Palazzo di San Clemente. Il nobile spagnolo era fratello della duchessa Eleonora di Toledo ed aveva ottenuto nel 1551, dopo molte pressioni, un terreno dalle suore di San Domenico al Maglio.
La realizzazione dell'insolito giardino (privo di un palazzo o di un edificio di rilievo) e della monumentale fontana furono commissionate allo scultore fiorentino Francesco Camilliani, che la realizzò, a partire dal 1554.

La fontana comprendeva 48 statue e aveva dimensioni inusuali, soprattutto visto che non era destinata ad uno spazio pubblico, ed era fronteggiata da una lunga pergola formata da 90 colonne di legno messe in opere sotto la sorveglianza di Bartolomeo Ammannati.
Spinto dai debiti ed in procinto di spostarsi a Napoli, Don Luigi, grazie al fratello Don Garçia de Toledo riuscì nel 1573, a vendere la fontana alla città di Palermo. Don Garçia che era stato viceré di Sicilia era in buoni rapporti con il Senato palermitano, che decise acquistare la fontana e di collocarla nella piazza su cui prospetta il Palazzo Pretorio. La Fontana Pretoria nel 1957. La fontana giunse a Palermo il 26 maggio 1574 smontata in 644 pezzi dei quali 112 imballati in 69 casse. Per far posto alla monumentale realizzazione, concepita per un luogo aperto, vennero demolite diverse abitazioni. 

La fontana tuttavia non arrivò completa e alcune sculture si erano rovinate durante il trasporto, mentre altre forse furono trattenute dal proprietario. Furono pensati quindi alcuni adattamenti nella ricomposizione dei pezzi e ne vennero aggiunti altri. La cura della ricomposizione e dell'adattamento della fontana fu affidata nel 1574 a Camillo Camilliani, figlio di Francesco, che ultimò i suoi interventi nel 1581 con l'aiuto di Michelangelo Naccherino.
Per tutto il XVIII secolo e parte del XIX secolo fu considerata una sorta di rappresentazione della corrotta municipalità cittadina, che vide in quelle immagini il riflesso e i personaggi discutibili del tempo. I palermitani soprannominarono la piazza, anche per la nudità delle statue, Piazza della Vergogna.
Nel novembre del 1998 fu intrapresa un'opera di restauro, che durò fino al novembre del 2003.
A dicembre dello stesso anno la fontana è stata riaperta e successivamente è stata riattivata la circolazione dell'acqua.

venerdì 30 dicembre 2011

Palermo capoluogo della Provincia di Palermo e della Regione Sicilia


Palermo (IPA: /paˈlɛrmo/, Palermu in siciliano) è un comune italiano di 655.409 abitanti, capoluogo della provincia di Palermo e della Regione Siciliana.
È il quinto comune italiano per popolazione dopo Roma, Milano, Napoli e Torino e trentunesimo a livello europeo; è, inoltre, il principale centro urbano della Sicilia. L'area metropolitana di Palermo, che comprende il capoluogo ed altri 26 comuni, conta una popolazione di 1.044.426 abitanti.

Estesa lungo l'omonimo golfo e adagiata sulla pianura della Conca d'Oro, così chiamata per via delle colorazioni tipiche degli agrumi, essa è circondata completamente da una cinta muraria naturale: i monti di Palermo. Il tessuto urbano è diviso dal fiume Oreto.
Fondata come città-porto dai Fenici intorno al 734 a.C., possiede una storia millenaria che le ha regalato un notevole patrimonio artistico ed architettonico che spazia dai resti delle mura puniche per giungere a ville in stile liberty, passando dalle residenze in stile arabo-normanno, alle chiese barocche ed ai teatri neoclassici. Per ragioni culturali, artistiche ed economiche è stata tra le maggiori città del Mediterraneo ed oggi è fra le principali mete turistiche del mezzogiorno italiano e tra le maggiori mete croceristiche del bacino mediterraneo. Palermo è oggi considerata capitale dell' EuroMediterraneo.
Fu capitale, dal 1130 al 1816, del Regno di Sicilia, e seconda città di importanza del Regno delle Due Sicilie fino al 1861. È sede dell'Assemblea regionale siciliana, dell'Università degli Studi e della principale arcidiocesi regionale.
Territorio:
La zona di Palermo era in origine un'ampia pianura tagliata da molti fiumi e torrenti ed ampie zone paludose adesso bonificate, circondata da alte montagne (i Monti di Palermo le cui cime sono spesso ricoperte dalla neve durante la stagione invernale).
La pianura di Palermo, si affaccia sul Mar Tirreno, ed insieme ai monti alle sue spalle forma la Conca d'Oro. La disposizione del comune si estende lungo la fascia costiera, con poca penetrazione nell'entroterra. I fiumi che esistevano sono scomparsi o scorrono ancora sotto terra.
Dalle montagne discendono giù fino al mare delle vallate create nel corso dei secoli dall'erosione delle acque. La Valle dell'Oreto è la principale, ed attraversa la città. La valle delimita una linea di demarcazione tra la periferia ed il centro.