Santa Rosalia, patrona di Palermo.
La Festa di Santa Rosalia (u fistinu in siciliano)
Secondo alcuni studi di agiografi locali, Rosalia, figlia del duca Sinibaldo di Quisquina delle Rose, nipote per parte di madre di re Ruggero d’Altavilla, crebbe nel XII secolo alla corte dello zio, a Palermo. Era molto bella e suscitava interessi terreni, fra i tanti quello del principe Baldovino, all’epoca ospite di riguardo alla corte di Ruggero. La leggenda narra che, durante una battuta di caccia grossa, sul monte Pellegrino, la montagna sopra Palermo, un leone stava per uccidere re Ruggero; Baldovino, coraggiosamente, lo salvò uccidendo il leone. Re Ruggero chiese a Baldovino di indicare egli stesso un premio per la sua eroica azione, e quest’ultimo chiese la mano di Rosalia, che, in seguito alla proposta di matrimonio, fuggirà gettando nello sconforto la madre, lo zio e l’intera guarnigione di stanza a Palazzo Reale (o dei Normanni).
Vissuta per poco tempo alla corte di Ruggero II, in seguito alla morte del re, chiese ed ottenne il permesso di vivere da eremita in una grotta sul monte Quisquina, dove trascorse dodici anni della sua vita. Successivamente, si trasferì in una grotta sul monte Pellegrino, dove visse “a vita di contemplazione” fino alla morte. Il suo culto si collega ad un evento particolare accaduto a Palermo in occasione di un’epidemia di peste. Il 7 maggio del 1624, infatti, attraccò nel porto della città un vascello proveniente da Tunisi, che in precedenza era approdato a Trapani e lì era stato sequestrato perché l’equipaggio era stato sospettato di essere stato contagiato dal morbo. Ben presto era stato dato l’allarme ma il viceré, mal consigliato, si lasciò convincere e fece scaricare dal vascello il carico, mentre il comandante, Maometto Cavalà, insieme con il guardiano del porto, si recò a Palazzo Reale per portare i doni a Sua Altezza Serenissima: cammelli, leoni, gioielli e pelli conciate, inviate dal re di Tunisi. “E si vedeva per tutta la città per tutto il mese di maggio e quasi il 15 giugno morire un gran numero di persone”.
Palermo si trasformò in un lazzaretto sotto il cielo. Il resto è leggenda, mito e prodigio. Nonostante le infinite preghiere della cittadinanza e le processioni, le quattro co-patrone della città - Santa Cristina, Santa Ninfa, Sant’Oliva e Sant’Agata - non erano riuscite a fermare la peste. Il miracolo, invece, fu attribuito alle reliquie di Santa Rosalia, le quali, portate in processione, impedirono l’ulteriore diffondersi dell’epidemia. Secondo le testimonianze storiche, infatti, Vincenzo Bonelli, un saponaio di via dei Pannieri, che aveva perduto per la pestilenza la moglie, salì sul monte Pellegrino per una passeggiata; smarritosi in seguito a un temporale, gli apparve la visione di Rosalia che, in dialetto palermitano, gli chiese di avvertire il vescovo, cardinale Giannettino Doria, che le ossa ritrovate poco tempo prima nella caverna dove ella era vissuta da eremita, erano le sue: se fossero state portate in solenne processione lungo le strade della città, la peste sarebbe scomparsa.
Poste in un sacco, tra fiori, candele accese e canti, i resti mortali di Santa Rosalia, trasportati per le vie della città, fecero il miracolo. L’etnologo dell’800 Giuseppe Pitrè così descrive la processione delle reliquie della santa, ritrovate il 15 luglio 1624: “Al loro passaggio il male si alleggeriva, diventava meno intenso, perdeva la sua gravità. Palermo, in breve, fu libera, e, in attestato di riconoscenza a tanto beneficio, si votò a lei, celebrando in suo onore feste annuali che ricordassero i giorni della liberazione. La grotta del Pellegrino divenne Santuario, ove la pietà d’ogni buon devoto si ridusse a venerare l’immagine della Patrona”. I tributi festivi votati al culto di Santa Rosalia, patrona di Palermo, ebbero inizio dopo il ritrovamento delle ossa, avvenuto il 15 luglio del 1624. Dal 1624, ogni anno dal 9 al 15 luglio, Palermo festeggia la patrona, la Santuzza, con un “festino” della durata di sette giorni; mentre il 4 settembre, dies natali della santa, ha luogo il pellegrinaggio alla grotta del monte Pellegrino dove ella visse a vita di contemplazione, e dove è stato edificato in suo onore un santuario;
nello stesso giorno si visita la cappella della Cattedrale di Palermo, in cui è custodita la statua della santa che, secondo l’iconografia popolare, è rappresentata giovanissima, con una corona di rose bianche sul capo, in contemplazione davanti al Crocifisso che sarebbe lo specchio nel quale la santa vide riflessa l’immagine di Cristo. Il Festino rappresenta un momento storico per la città, e all’origine comprendeva tante manifestazioni che, tra sacro e profano, tra mito e leggenda, coinvolgevano tutti gli strati sociali, in una devota esaltazione della santa patrona di Palermo.
Il Festino comprendeva, oltre alla sfilata del Carro, i fuochi pirotecnici che si tenevano alla Marina e la processione dell’urna con le reliquie della santa (momenti che si svolgono ancor oggi).
Inoltre, si svolgevano una lotteria chiamata Beneficiata, la corsa dei cavalli berberi per le vie della città e la tradizionale novena cantata dai cantastorie, gli Orbi, che, accompagnati dal violino, cantavano in versi siciliani la storia della Santuzza
Attualmente, il Carro è lungo circa 9 metri e largo 6 con un’ altezza di circa 10 metri. Esso può ospitare quaranta persone, costituite dagli orchestranti e dal coro, e in cima trova posto la statua della Santuzza circondata da nuvole, angeli e putti. Spesso, nelle processioni, il Carro viene preceduto da carri minori, detti “macchinette”, che rappresentano scene della vita della Santa.
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